Come ogni giorno ti svegli e esci di casa, facendo i quattro piani di scale che ti separano dal marciapiede. Scendi le rampe, ti aggrappi alla maniglia arrugginita e senti che gli odori si intensificano verso il basso, fino ad arrivare al culmine al piano terra. A volte il profumo è quello del cavolo bollito, altre volte è di chiuso, altre ancora - più rare - di cannabis. Da qualche giorno a questa parte, e ti perdoni il francesismo, c'é proprio puzzo di merda. Superi la signora col fazzoletto in testa che sta pulendo il primo piano e quasi scivoli sull'ultimo gradino, bagnato, mentre mugugni un buongiorno. Esci. Finalmente sei in strada pronto ad affrontare la giornata.
O magari non sei tanto pronto, per cui pensi di farti un caffé. Sei in zona Barriera di Milano, quindi sai benissimo che l'industria dei bar è controllata al 90 percento dai cinesi, e al restante dieci da torinesi che hanno ereditato l'attività da parenti ma si fingono orientali per conformarsi. Tra i tanti scegli quello con la barista dell'est europa, che è stata gentile l'ultima volta che sei andato. Le paste son buone, odorano di burro come il reparto del pane della Lidl. Esci, di nuovo. Titolo di giornale: "Barriera di Milano: uccide sconosciuto con 16 coltellate perché ubriaco". Hai bisogno del biglietto del tram, fai una scappata in un tabacchi ma il cassiere è troppo lento; il quattro sta passando. Ci salti dentro al volo, tanto il controllore non si spinge così a nord. Una guardia di sicurezza, di fronte allo sportello del bancomat, ti guarda preoccupata. La folla mattutina che va al mercato di Porta Palazzo puzza di bagnato e umido, complice la pioggia; capisci allora che l'umanità sa di pesce. Semmai dovessi arrivare in centro, tutto cambia. Via Roma è un'altra città, chiaramente.
Quando torni dalla tua giornata il quartiere è ancora lì ad accoglierti. A parco dora le bande di alternativi si riuniscono, armati di berretti da yankees e skateboard, qualche volta bici, raramente parkour. Obbligatori pantaloni a vita bassa e strafottenza. Poco male perché sei nell'orario in cui le scuole, con quelle facciate fatiscenti e scrostate che si intonano col resto, liberano i bambini dopo il pomeriggio. Piccoli torinesi corrono dovunque, strillando da un marciapiede all'altro. I ragazzini parlano in italiano, i genitori parlano un po' tutte le lingue.
Sbirciando le vetrine è difficile trovare qualcosa che non sia un bar, una sala slot, un negozio di telefonia o una macelleria halal. Vanno molto anche gli alimentari dai prodotti tipici e i compro oro di dubbia legalità. I locali con le scommesse. Sei in una piccola Las Vegas. A sorpresa, tra i graffiti istituzionalizzati o meno, tra i cartelli pubblicitari di agenzie funebri sempre in agguato, trovi i locali dove gli autoctoni ancora si ritrovano; osterie di vecchietti e sezioni di partito, posti dove basta un tavolino e le sedie e le carte. La legge contro il fumo in luoghi pubblici non è arrivata mai. Gli stessi vecchi li ritrovi in giro a discutere forte di quello che un amministratore di condominio può o non può fare, proprio davanti alla scritta sul muro contro gli sfratti e gli affitti. Più tardi nello stesso anno organizzeranno delle ronde di anziani contro lo spaccio. Il tentativo sarà risibile.
In ogni caso il tuo ritorno non passa inosservato. Un primo spacciatore ti chiede se serve qualcosa. Un secondo, più premuroso, al tuo primo rifiuto ti chiede se serve qualcos'altro. Ha tutto, lui. Mannò, tu devi solo fare la spesa. Per cui magari fai un salto dall'emporio, con la signora cinese. Compri un accendino con sopra, stampate, tante piccole banconote da 500 euro. "Magari, averli". Scherza la signora.
Passi di fronte alla panetteria dove ci si saluta a colpi di salām e dove il pane costa mezzo euro al chilo. C'é sempre la fila e un odore peculiare, non spiacevole; la cassa è una scatola di scarpe dove il gestore butta gli spicci. Ti chiedi se sia mai passata una cosa simile alla finanza, di qua. Eppure sei convinto di aver visto qualche poliziotto entrare in una sala scommesse e li hai visti richiedere documenti in giro.
I kebabbari si chiamano tutti Istanbul e variazioni sul tema e solo i più arditi provano altro, tipo Sinbad. Noti che comunque le insegne pizza-kebab devono averle tutti comprate dallo stesso fornitore, perché son sempre neon, rosso su verde. Ti procuri il cibo e inizi a inerpicarti su per le scale, se non che trovi una vecchina che decidi di aiutare con la spesa. Lei non ci crede. Ha settantacinque anni, ti racconta, e quand'era giovane non le pesava fare cinque piani di scale per arrivare a casa.
Fischia, pensi. La vecchina ne fa più di me.
Arrivato a casa mangi e pensi che stanotte dormirai. Verso le due si senton suoni in strada; a volte é gente che prende a pallonate i palazzi, altre urla e rovesciamenti di cassonetti, una singola volta giuri di aver sentito un allauh akhbar. Ma un giorno cambierà. Un giorno, ti sussurra una voce, passerà anche di qui la metro, e porterà i soldi. Il ghetto si sposterà. Tobike oserà mettere una stazione di biciclette anche qui. Nel momento profetico, sbirci i titoli dei giornali di domani prima di addormentarti. "il killer di Barriera: adesso voglio andare in galera".
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