TW: politica. Campi di prigionia.
Qualche giorno fa è scaduto un concorso di Trenitalia per racconti brevi, parlava di "viaggio ecosostenibile". Leggi: viaggio in treno. Mi interessava relativamente poco ma nell'ottica di scrivere qualcosa, qualsiasi cosa, avevo iniziato così.
Erano in trenta quella volta, saliti a Milano e diretti verso Ventimiglia. A fare la tratta era un vecchio Frecciabianca ridipinto di recente. Fuori dal finestrino scorrevano le pianure annebbiate della Lombardia, i campi di riso umidicci e le case di campagna con le pareti colorate, ma un po’ sole in mezzo al mare verde. Fuori c’era silenzio oltre lo sferragliare del treno. La carrozza era invece piena delle chiacchiere eccitate di donne, uomini e ragazzi che non vedevano l’ora di arrivare a destinazione.
Ngoye si era affezionato al gruppetto, forse perché quello era il suo ultimo incarico come mediatore culturale. Li avrebbe accompagnati al confine, aiutati a passare la dogana francese, e poi sarebbe tornato indietro per chiudere gli ultimi affari in Italia.
Sono già quattro anni. Era quasi assurdo pensare che quando era arrivato lui nel paese la situazione era completamente diversa. Aveva dovuto pagare cinquemila euro a un trafficante per mettersi su un gommone nell’ultimo tratto di mare oltre la Libia. Ironicamente, era stato uno degli ultimi barconi illegali prima che fossero istituiti i Taxi del Mediterraneo.
Già scrivendo questo stavo sentendo un certo disagio. Sorvoliamo sulla tipica arroganza da scrittore che mi fa credere di poter tranquillamente infilare la mia visione politica in un racconto e farla bere al lettore. Sorvoliamo anche che Ngoye dovrebbe essere uno che è sopravvissuto alla tratta di mare tra l'Africa e le coste italiane, e che io mi appropriavo bellamente di una storia difficile.
Infatti:
L’invidia gli affiorò in petto prima che potesse controllarla. Questi ragazzi non sanno com’è rischiare la vita in mare. Era un pensiero ingiusto e se ne vergognò immediatamente. Certi i Taxi avevano eliminato il pericolo di affondare, ma non poteva risolvere le carovane del Sahara e gli altri tratti difficili del viaggio. E poi, la fortuna di qualcun altro non lo rendeva più povero, semmai il contrario.
[...]
In quattro anni aveva visto il programma accoglienza crescere dall’accozzaglia caotica e confusa, tipica della burocrazia italiana, a un sistema tutto sommato funzionante che aiutava gli immigrati a entrare regolarmente, lavorare per restare in Italia o procedere verso un altro stato europeo.
Il servizio treni era una parte integrante di quella rete. [...]
Qui ipotizzavo un utopico servizio taxi che, invece di lasciare la gente affogare, andasse direttamente a prendere i migranti sulle coste africane, eliminando di fatto il problema dei trafficanti umani alla radice. Dopotutto perché qualcuno dovrebbe pagare a volte anche migliaia di dollari a un criminale che ti stiperà sul primo gommone, quando ci sono barche gratuite, sicure e convenzionate con lo stato che possono portarti dove vuoi andare?
Fantascienza pura.
Oggi passava la notizia del dono di una nuova motovedetta al governo libico, in onore del rinnovato accordo Italia-Libia per le forniture di gas. L'accordo continua un po' il Memorandum Italia-Libia del 2017, che si è poi rinnovato lo scorso Novembre. In breve: finanziamo il governo libico per tenersi i migranti, con un contributo che formalmente dovrebbe combattere i trafficanti.
Formalmente.
Nella realtà dei fatti, finanzia dei campi di concentramento in cui i migranti vengono stipati e torturati.
Rimando ai seguenti post se non sapevate la storia e se avete lo stomaco di informarvi:
Se avete voglia di scavare penso si trovino anche i video delle effettive torture, quindi, a voi.
Ma queste sono notizie vecchie. Dopotutto del Memorandum si sapeva già nel 2017, e i primi report sui suoi effetti disgustosi sono forse altrettanto vecchi.
Cos'é successo, allora? Niente: come tanti altri come me, mi sono semplicemente dimenticato, per quieto vivere. L'informazione viveva comunque nel retro del mio cervello, così, un po' fastidiosa, per riaffiorare in momenti casuali, per esempio durante un aperitivo:
"Ah, si, ci sarebbe il fatto che l'Italia finanzia (ancora) dei campi di concentramento"
Insomma non il più simpatico degli ospiti.
Nella mia comoda dimenticanza complice, quindi, avevo la presunzione di scrivere di Ngoye, immigrato che si era trovato a lavorare in un fantomatico stato utopico che non vede nella povertà altrui un nemico. Nel mio idealismo da salotto, scrivevo di un Ngoye completamente a suo agio nelle fottutissime pianure lombarde che alla fine avrebbe scelto di restare in Italia. Qui nella realtà se esiste un Ngoye è probabilmente torturato nei dintorni di Bani Walid, sperando che la famiglia abbia abbastanza soldi per pagare ai suoi aguzzini un riscatto.
Non c'è una parte costruttiva a questo post. Il racconto non l'ho finito, banalmente perché non aveva mordente, molto prima di accorgermi di quello che stessi facendo. Non esiste una parte costruttiva perché non so neanche cosa lasciare a me stesso, come migliorare, come trovare una soluzione a una realtà che mi schifa intimamente.
Vi lascio così quindi, col capo nella cenere, in un post interrotto.
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