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Lettera aperta a Repubblica


La seguente è stata inviata alla redazione online di Repubblica Lunedì scorso in merito a questo articolo. Ho voluto lasciare a Repubblica il beneficio del dubbio, che in questo caso si quantifica con una settimana di tempo.

 

Alla redazione di Repubblica,


Vi scrivo questa lettera aperta in merito a un articolo pubblicato il 10 aprile 2023 sulla testata online, nella sezione Cultura, dove si riporta il racconto inedito di Alessandro Baricco intitolato “Perdere qualcosa o qualcuno”, tratto dalla raccolta “Aragoste, champagne, picnic e altre cose sopravvalutate”, edita da Einaudi.


Sono costretto a riferirmi al pezzo usando il termine “racconto” solo per chiarezza. Il signor Baricco, con i suoi numerosi anni di esperienza nel mondo della scrittura, è di certo consapevole che quello proposto non è un racconto, semmai un soliloquio (e mi permetto di suggerire anche il termine sproloquio).


A livello contenutistico ci sarebbe molto da obiettare: se il lettore supera la prosa fumosa di Baricco, arriva a leggere bizzarre affermazioni sull’etica del “lasciare andare l’illusione del possesso” - concetto non inedito, ma espresso qui particolarmente male. Si paragona l’arrabbiarsi per “perdere un quarto d’ora in coda” con la perdita di una persona cara, come fossero sullo stesso livello. È evidente che solo un tale distaccamento dalle possessioni terrene poteva permettere a Baricco di scrivere un pezzo così brutto.


Mi rivolgo ora a voi, e lo faccio con il dovuto riguardo. Non mi aspetto infatti di insegnarvi a fare il vostro lavoro. Vorrei capire per quale motivo è stato pubblicato un contenuto di questo genere su Repubblica. Nutro una certa stima del giornale e delle sue varie penne e questa genera in me un certo disagio, la percezione di una stonatura – che di certo il signor Baricco inviterebbe a lasciare andare.


Se Repubblica ha intenzione di dare spazio alla letteratura, in particolar modo ai racconti brevi (che siano racconti, però) non potrebbe trovarmi più d’accordo. Tuttavia, invito caldamente a migliorare i processi di selezione per il materiale. È forse un segno di ingenuità da parte mia suggerire che vengano pubblicati autori se non emergenti, almeno non altrettanto affermati come il signor Baricco, che di certo non ha bisogno di presentazioni.

Forse l’intenzione era far esprimere una penna della letteratura italiana, come Repubblica fa e ha fatto più volte. Niente di più corretto. Sarebbe tuttavia meglio che questo non si traducesse in un altarino libero sfogo a qualsiasi contenuto, dall’altro dell’argomento d’autorità.


Il misnomero del “racconto” di Baricco è infatti duplice, visto che il testo è inserito in un “articolo”, firmato dallo stesso Baricco. Dell’articolo questo pezzo ha solo il sottotitolo, visto che nel titolo Baricco cita se stesso. L’impressione è avere davanti un gioco di scatole cinesi: un articolo che non è un articolo, visto che contiene un racconto che non viene discusso, spiegato o analizzato in senso critico, e un racconto che non è un racconto ma una serie di opinioni confuse. Non sarebbe meglio, quindi, un’intervista? E considerando che si tratta di un monologo, non poteva Baricco parlare invece della sua opinione sulla raccolta stessa? Nello stesso spazio di mille parole avremmo potuto avere un pezzo d’opinione veramente inedito, invece di un contenuto che ha un sapore riciclato. Al signor Baricco non mancano gli spazi per pubblicare i suoi inediti, qualora lo volesse; sono sicuro che non è al di sopra della sua penna scrivere qualcosa unicamente per Repubblica, e se questo non fosse degno di lui, astenersi.


Veniamo ora all’ultima ipotesi, più prosaica, ovvero che Repubblica abbia garantito questo spazio a fini pubblicitari. Ipotesi che segue normali logiche di mercato, eppure mi lascia altrettanto perplesso. Dopotutto della raccolta non si parla, viene citata alla fine, come un ripensamento, e il lettore ci arriva solo se è in grado di superare lo scoglio posto da Baricco stesso. Inutile citare poi che la pubblicità ha altre forme ed altri spazi. Chiunque abbia un minimo di conoscenza del mondo e del marketing sa che è normale che a volte, l’obbiettivo pubblicitario si espanda, percolando altrove: per esempio in un articolo. Lungi da me voler fare il moralizzatore. Benvenga il marketing, benvengano le sponsorizzazioni, ma almeno spogliamole da questo falso senso di autorità, di nuovo, manteniamo almeno la parvenza di un’intervista, la parvenza di contenuto, parliamo del prodotto – in questo caso il libro – invece di rendere acriticamente omaggio ai vecchi maestri e al loro insormontabile ego.


Cordialmente,

M.

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