Dimostrazione per assurdo: Tipo di argomentazione per cui, presupposta vera la tesi opposta a quella che si vuol dimostrare, si fa vedere come ne derivino conseguenze inaccettabili.
Agata stringe la borsa di neo-poliuretano nella sala d’attesa. L’ufficio è nuovo, c’è odore di inchiostro e di quella polvere particolare attirata dai cavi elettrici. Le sedie sono plastica non-biodeg e sono molto vecchie. Cannibalizzate da un ufficio precedente, pensa Agata, magari uno di quelli pre-Sistema.
I poster sulle pareti: 5 COSE DA SAPERE SUI DIRITTI INCREMENTALI, e IL FUTURO HA UN SANGUE ANTICO. Foto di alberi genealogici e di sorrisi bianchissimi. Anche se è dentro la tasca interna della borsetta, Agata riesce a sentire i contorni della busta anonima bianca che Mamad ha insistito per darle. Dentro c’è una mazzetta di duemila euro in tagli da cento.
«Guarda che non funziona più così da noi.» Si era lamentata.
Mamad era stato paziente. «Funziona sempre così.»
Erano seguite altre discussioni, sull’ammontare della mazzetta, sul modo di consegnarla, sul considerarla o meno un investimento per il futuro di loro figlio.
Agata ha la nausea solo al pensiero di farla scivolare su una scrivania. Parte di lei avrebbe volentieri delegato l’incarico al marito. Ma i cittadini italiani hanno la priorità negli uffici pubblici, e se a un impiegato salta la mosca al naso, Mamad può essere rimandato in Tunisia, e tanti saluti alle liste di case popolari.
Fuori dalla finestra una Palermo silenziosa attraversata dal frinire delle cicale e solo dall’occasionale rombo di un motore. Le emissioni di CO2 sono diminuite notevolmente. Sotto il Sistema, solo gli italiani possono guidare.
Lo schermo bippò il suo numerino e Agata si alzò verso la porta in simil-legno.
«Avanti,» fa una voce. L’ufficio è stretto e senza finestre. Un ventilatore a soffitto punta sull’uomo dietro la scrivania. Agata vede, in ordine: capelli nerissimi; camicia bianca di lino; abbronzatura integrale; denti candeggiati di recente; lenti di occhiali rettangolari con uno stream social in sovraimpressione.
Il funzionario si alza e le porge la mano. «La signora Ranieri, corretto?»
Sembra amichevole. «Si, sono io.»
«Ho proprio l’esito della sua analisi.»
L’uomo torce il busto per ticchettare sulla tastiera di un terminale. «Agata Ranieri, sposata, nucleo familiare di tre unità. Presentata la richiesta di cittadinanza per il figlio Luca, anni due. Ce ne avete messo di tempo, eh?»
Agata torce le dita contro la borsa. Non sa se deve prendere la busta o no. «Pensavo avrebbe preso la cittadinanza da me.»
«Eh no, signora. Quello è il vecchio metodo.» Il funzionario fa un sorriso di convenienza, come se avesse pena di lei. Agata non si è ancora abituata a essere chiamata “signora”. «Ma vediamo. Ho qui i risultati dei test genetici. Un caso particolare, il suo.»
Nella sua testa, l’immagine di Mamad che fa il gesto di mettere la busta sul tavolo della cucina come uno metterebbe dei tovaglioli. “Devi farlo con noncuranza, ma non sembrare strafottente,” aveva detto. Agata infila la mano nella borsetta e prende un lembo della busta. «Si?»
«Già, già. Iniziamo con le buone notizie.» Gira lo schermo verso di lei. Il monitor mostra una genealogia estremamente complessa da seguire, con decine e decine di rami. Gli occhi di Agata non si soffermano sui particolari ma cercano un solo dettaglio: la spunta verde che indica il responso positivo. È lì: in fondo allo schermo, luminosità abbagliante. Respira. «Come vede, suo marito vanta una genealogia importante.»
«Come?» Le sue dita perdono la presa sulla busta con la mazzetta. Agata stringe gli occhi. Al limite estremo dell’albero genealogico, c’è il nome di suo marito: Mamad Nasr, tunisino.
«Vede?» Il funzionario zooma in alto, verso le radici. «Secondo la banca dati, suo marito vanta una discendenza diretta da parte di madre. Un suo antenato era un soldato romano. Non è per niente sorprendente, considerando che la Tunisia è stata parte dell’impero per secoli. Chi accusa il Sistema di razzismo dovrebbe ricordarsi che in realtà stiamo estendendo molto il concetto di cittadinanza!»
Ridacchia e fa il simpatico. Agata sorride.
«Abbiamo anche la linea paterna per suo marito,» continua il funzionario. «Questa si interrompe prima per mancanza di dati. Ma abbiamo verificato la parentela con un gerarca fascista stazionato in Tunisia nel ventennio. Chiaramente da sola non sarebbe sufficiente a garantire l’italianità, è chiaro, ma può supportare la linea materna. Con questi dati, suo marito può fare richiesta di cittadinanza.»
Mamad è italiano? Agata molla la bustarella, corruga la fronte per decifrare meglio le complesse diramazioni dell’albero. Il funzionario, con aria bonaria, le indica più in basso dove ci sono lunghi resoconti delle comparazioni genetiche. Tutti i suoi problemi sembrano dissolversi improvvisamente. La massima del Sistema, ripetuta alla nausea dai media e dai politici, risuona come una marcetta: prima gli italiani!
Il funzionario ha anche detto: iniziamo con le buone notizie. Agata guarda il ventilatore e vorrebbe fosse puntato un po’ anche verso di lei. Il sudore si coagula dietro al suo collo e scorre verso la camicetta.
«Ma quindi anche mio figlio…»
«Aspetti.» Cambio schermata. Appare un altro test genetico. Manca la spunta verde luminosa del risultato positivo. «Come vede, signora Agata, il problema è lei.»
Per un attimo c’è solo il fruscio di pale dal ventilatore. Sulle lenti del funzionario balugina un’allerta meteo, ma lui non sembra farci caso.
«Ma io sono siciliana.»
Il funzionario ridacchia. «Si, questo lo so bene. Guardi, non le dico che sollievo quando ho fatto io il test. La nostra terra ha una storia complicata, si sa.» Di nuovo zooma e punta il dito. «I suoi antenati sono un po’ dappertutto. La linea più interessante che siamo riusciti a trovare ha scoperto una discendenza normanna. Erano qui nel dodicesimo secolo.»
Agata si liscia i capelli biondi, quasi il marchio di un’accusa a confronto con quelli nerissimi dell’uomo che la sta guardando.
«Ma scusi, che significa? Io ho la cittadinanza perché i miei genitori sono italiani. Sono nata qui.»
«Lo so, ma i suoi documenti sono stati emessi seguendo il vecchio metodo. Inter nos, il Sistema non ha ancora deciso cosa fare con le cittadinanze elargite così liberamente dai governi precedenti. Le sto dicendo semplicemente di non trattarla come un qualcosa di inalienabile.»
«Mi sta dicendo che secondo il Sistema non sono italiana?»
«Non ha origini abbastanza antiche. La sua carta d’identità scade fra cinque anni, vedo. Quando dovrà rinnovarla potrebbe dover presentarsi all’iter burocratico per i non cittadini.»
«Ma questo non ha senso,» Agata protesta. «Se non sono italiana, cosa dovrei essere?»
Il funzionario sorride con i suoi denti splendenti. Il poster alle sue spalle ripete uno degli slogan della sala d’aspetto: IL FUTURO HA UN SANGUE ANTICO.
«Potrebbe richiedere la cittadinanza francese, peccato che loro non abbiano adottato le regole del Sistema. Ma chissà, magari fra qualche anno si convinceranno a cambiare mentalità.»
Agata vorrebbe sbattergli la borsa in faccia. Vorrebbe parare a quel pezzo di merda con gli stessi termini con cui critica la politica a casa, con lo stesso tono che usa lamentandosi al bar con gli amici dopo la seconda birra. Ma il clima è davvero cambiato. Di recente, anche nei locali di Palermo si sorride molto a labbra strette.
Pensare alla borsa le ricorda della bustarella, del motivo per cui è lì.
«Luca. Mio figlio.»
«Vedo che ha capito,» la pacifica il funzionario. «La sua situazione non è brutta. Non è brutta per niente. Suo marito può già richiedere la cittadinanza e siete legalmente sposati. Su questo non ci piove. Se la linea materna di suo marito… Mamad, viene confermata, suo figlio Luca potrà subito accedere alla stessa discendenza.»
«Quindi mio figlio e mio marito sono italiani.» Agata ha la gola secca e la schiena imperlata di sudore, sulla lingua un sapore acre. «Fra cinque anni io potrei non esserlo.»
Il funzionario si sporge a toccarle una mano. La sua pelle è fredda come quella di un rettile. «Come le ho detto, la sua situazione non è affatto male. È sposata a un futuro italiano. A tutto c’è un rimedio.»
La busta con i duemila euro è un peso inutile nella borsa. Agata sa che non convincerà questo burocrate. Ricorda bene la trafila legale per sposarsi al comune e quanto la situazione le fosse sembrata assurda allora. Alcuni dei suoi parenti avevano detto: ma sicura di voler sposare quello là?
Quando esce dall’ufficio, il funzionario si risistema la camicia.
A casa, per prima cosa abbraccia suo figlio Luca. La vicina che lo teneva per lei racconta di quanto sia stato bravo. Luca non piange mai. Agata sente un rivolo gelido lungo la schiena, ma allo stesso tempo si sente sollevata.
«Presto, presto sarai italiano.»
NdA: Questo racconto è dedicato a tutti quelli convinti che esista l'italianità, che esistano "i nostri valori", che le persone possano essere etichettate a seconda di parametri aleatori. Questi rigurgiti di fascismo dovrebbero studiare la storia del nostro paese (a cui dicono di tenere molto) e forse allora si renderebbero conto di quanto labile sia la loro retorica di merda.
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